di Nicoletta Poli
“La filosofia non è un’arte che cerca il favore popolare e non è fatta per essere ostentata; non consiste nelle parole, ma nei fatti. Di essa non ci si vale per far trascorrere piacevolmente le giornate, per eliminare il disgusto che viene dall’ozio: educa e forma l’animo, regola la vita, governa le azioni, mostra ciò che si deve o non si deve fare, siede al timone e dirige la rotta attraverso i pericoli di un mare agitato” (Seneca, Lettere a Lucilio) Questa frase di Seneca evidenzia come la filosofia non possa essere centrata solo sulla trasmissione dei contenuti storici. Sono convinta che essa nasca dall’esigenza dell’uomo di rispondere alle domande fondamentali della vita, riconoscendosi, come dice Aristotele, attività teoretica “nata dal dolore e dalla meraviglia”. Riprendendo uno spunto di Platone, Aristotele sostiene che gli uomini sono spinti a filosofare dalla “meraviglia” (tháuma), che essi provano quando, di fronte agli accadimenti del mondo, ne ignorano le “cause”. Cercano, quindi, la filosofia perché vogliono liberarsi dall’ignoranza, ossia ricercano il conoscere al fine di sapere e non per conseguire qualche utilità pratica. La filosofia, dunque, non è ricerca volta al conseguimento di qualche vantaggio che sia estraneo ad essa. Dunque, come diciamo che uomo libero è colui che non è asservito ad altri, così questa sola, tra tutte le altre scienze, la diciamo libera: solo la filosofia è fine a se stessa1. Platone sosteneva nell’Eutidemo che la filosofia consiste nel “sapersi servire di quello che si fa” (289 b): indi, avrebbe una mission superiore a quella di altre scienze. Per il filosofo berlinese Safronsky “ la filosofia è la vita che si prende cura di se’” ossia stimola la persona ad applicare la filosofia alla sua vita, considerandola una questione preziosa, da prendere in cura… Ma come? Filosofando. Filosofare significa creare e ri-cercare il sapere, ri-tornare sempre di nuovo sul problema, inappagati dall’apparente soluzione, riflettere incessante per mettere a prova le nostre capacita di comprensione. Con la riflessione, la ricerca, il conseguimento di nuova conoscenza e nuova consapevolezza, l’individuo cambia lo stato cognitivo e, per suo tramite, quello emotivo. Filosofare significa cambiare, non essere più gli stessi! Significa migliorare continuamente la propria vita, spesso problematizzandola e, comunque, lavorando su se stessi e sul mondo, magari raggiungendo la felicità. Ma in cosa consiste questa “felicità”? La mission del filosofo pratico o, comunque, di colui o colei che filosofano, è arrivare alla phronesys, alla saggezza pratica finalizzata ad un buon vivere. Il filosofare diventa, in tal modo, una pratica benefica di vita, una sorta di strumento straordinario tramite il quale osservare la propria vita…Insomma, la filosofia pratica è il gesto filosofico per eccellenza…una forma di filosofia diversa da quella delle accademie, alle quali essa pone una vera e propria “sfida”, consistente nel non occuparsi dei sistemi filosofici, bensì di allenare il pensiero, mettere “in questione ciò che gli altri fanno passare per ovvio: una riflessione sulla nostra vita reale, prendendo posizione sulla stessa. L’uomo è un essere costituzionalmente filosofante e può arrivare alla saggezza. Questo approccio – che vediamo da Socrate fino all’avvento del Cristianesimo – é stato tematizzato da G. Achenbach – il pioniere della Filosofia pratica nel mondo attuale – tramite il neologismo tedesco Lebenskonnerschaft, ossia “capacita di vivere”. La saggezza cui fa riferimento Achenbach non ha a che fare con meri contenuti sapienziali e ha come obiettivo una vita autentica, progettuale, che crea valore per sé e per il mondo intero, utilizzando conoscenza e ratio. Il filosofo pratico, insomma, si presenta esteriormente come una “nuova professione”, esercitata ormai in molte parti del mondo da un numero sempre più crescente di filosofi che mettono le loro competenze a disposizione di chi ne faccia richiesta. La Filosofia Pratica è una forma di sostegno spirituale di tipo consultivo e non curativo nel senso tradizionale del termine (ossia non una terapia o una pratica medica). In altre parole, le competenze del filosofo vengono ricercate non per discutere e affrontare o approfondire questioni tradizionalmente “filosofiche”, bensì per difficoltà concrete, personali e quotidiane. Il filosofo pratico non insegna la filosofia, bensì, recuperandone elementi “chiave” messi da parte dalla società moderna e contemporanea (virtù, saggezza, etica, …..), valorizza il pensare filosofico come influente sulle coscienze e, tramite esse, sul mondo intero. Insomma, il filosofo pratico sostiene il soggetto a provare a vivere una vita riuscita e serena, cercando di sviluppare in esso un approccio “pensato” nei confronti della realtà, senza pregiudizi e preconcetti: proprio questi ultimi, infatti, possono portare ad una interpretazione distorta della realtà e, quindi, all’infelicità. Insomma, un approccio filosofico alla vita che produce una sorta di metamorfosi e/o di approdo “aperto” delle problematiche esistenziali: da una mancanza, da un vuoto esistenziale insostenibile, da un tempo spirituale infelice ad un tempo spirituale consono ad una vita-progetto gravida di possibilità. Come Epicuro, perché non tentare la strada di un sobrio piacere di esistere in cui v’è una sorta di ascesi dei desideri per potere mettere a punto la nostra filosofia di vita? E poi, pensiamo a certe opere di Seneca, come “De tranquillitate animae” e “ Lettere a Lucilio”, ai Ricordi di Marco Aurelio, a Epitteto, ad Aristotele, a Boezio, a Montaigne, a Schopenhauer, a Kierkegaard e agli aforismi di Nietzsche….E tantissimi altri.. La filosofia qui è sempre stata intesa come una sorta di atto primordiale nata comunque da una mancanza, da una lacuna esistenziale. La filosofia così – in un certo qual modo – si incammina nuovamente tra le genti, ritrova il contatto con uomini e donne in carne ed ossa, si immerge nella vita reale.